Narra_Ti_Va?: Salvatore Giuseppe Bellino in "Specchio sospeso"


Salvatore Giuseppe Bellino nasce ad Avola (SR) il 26 luglio del 1979. In questo paesino del sud Italia dove sin da piccolino tutti lo hanno chiamato Peppe vive e lavora mantenendo viva la passione per la letteratura sia antica che moderna, trascrivendo in pensieri ogni sua esperienza di vita. Scrittore per vocazione si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Catania coronando definitivamente quel viaggio interiore che da sempre la sua anima persegue. L’esperienza maturata nel corso della vita in cui ha vissuto intensamente ogni emozione ha permesso di portare ogni singolo frammento di dolore, gioia, sofferenza, su un piano narrativo e filosofico sdoganando attraverso la scrittura ogni incomprensione del cuore. Ha sempre sostenuto che la bellezza di un’anima in viaggio spinta alla vita dalla rinascita non ha eguali. La passione per i borghi antichi, l’arte, i viaggi, i castelli che ama visitare riempiono ogni curiosità che ha nel corso del suo cammino. Crede fermamente che la felicità sia fatta da gesti e parole semplici come "ti voglio bene", "mi manchi", "a domani", "grazie". In questo breve ed intenso scritto vi è un’anima che pulsa d’amore in ogni sua sfaccettatura. Un lungo abbraccio in mezzo a queste parole che appartengono ad ognuno di noi.

                                                                  
SPECCHIO SOSPESO 
 
Ci sono giorni in cui sei come uno specchio sospeso ed hai dentro tutta la paura, la forza, l’impeto di voler guardare dentro di te attraverso quel riflesso di luce. Ti senti come il cielo quando viene trafitto d’un raggio di sole all’alba, quello più bello e caldo.
Non ha forse paura pure lui a farsi trafiggere? Eppure, arriva sempre il momento in cui devi dar conto a quella lastra di ghiaccio che è il cuor tuo che grida di metterti nudo e specchiarti, in silenzio, solo il rumore del fiato affannato ad accompagnarti con il groppo in gola che hai.
Oggi sono cielo sospeso, nudo, trafitto, seme in cerca di un terreno fertile in cui e per cui fiorire: accoglimi. Fammi entrare, come l’alba fa sparire le stelle della notte, eccetto quella che da tanto, troppo tempo fa, cercai pur sapendo che stava lì a brillar per me, per noi, nascosta nel mio cuore.
Lì, avvolta dentro un velo di speranza d’incontrarci in quello che fu il nostro mondo in un tempo ormai passato. Sospeso, tutt’uno con me stesso, specchio dei miei tormenti, gironzolo come un seme in balia del vento in attesa di trafiggermi per spazzare via torpore e nebbia e vestirmi di te, di noi. Dissolvimi nel tuo bagliore emozionante, come quando da bambino mi rifugiavo tra le mie stesse braccia che mie erano culla, dolcezza e malinconia senza tempo.
Ti guardo, mi specchio, sono una finestra aperta. Non sono vetro, non posso più ferirmi o spezzarmi in due e andare in frantumi! Io sono un seme! Germogliami. Sono vita per te, per noi. Eccomi a te, cicatrice d’una sofferenza che sta per dissolversi. Né rimorsi, né rimpianti se mi perdoni nel fondo dei tuoi occhi. Cercavamo il tempo ma dello stesso avevamo paura vedendolo passarci sopra a divorare tutta la nostra passione. Sapevo d’incontrarti, eri dentro di me. Facevi parte di me. Non ti ho mai pensata, t’ho sempre sentita. Ho l’anima spoglia adesso e non ti chiedo dove dobbiamo andare, ti chiedo di farti luogo e vita per me.
Mi basta nascere adesso in un posto migliore, in mezzo alle tue spine, ai tuoi petali che profumano d’un desiderio che non ti ho mai espresso: io che sono un seme vagante nell’universo alla fine di tutto mi chiedo e vi chiedo:
non ci si deve sentire fin troppo umani per sentirsi eterni?


[a cura di Elisabetta Tagliamonte]

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